domenica 20 febbraio 2011

LA CREATIVITA’ IN AZIENDA AI GIORNI NOSTRI

DAL CAOS ALL’ECCELLENZA

Il successo ha una durata effimera ed il caos è all’angolo, pronto a subentrare a ciò che spesso viene chiamato vittoria. Accelerazione del cambiamento e complessità costituiscono una sfida per le organizzazioni che perseguono l’eccellenza come principio di sviluppo.

ACCELERAZIONE DEL CAMBIAMENTO E COMPLESSITA’

Tom Peters è un riferimento grazie alle opere scritte con R. Waterman Alla ricerca dell’eccellenza, cui ha fatto seguire un secondo volume intitolato La passione dell’eccellenza.
Queste opere illustrano un certo numero d’idee chiave sulla direzione, basate essenzialmente sul buon senso, confortate da una serie d’esempi molto precisi, riferiti ad aziende che hanno avuto successo.
Una ricerca successiva, dopo tre anni, verificò che più di un terzo di esse erano fallite. Questa scoperta permise di comprendere che l’eccellenza da sola non bastava. E’ necessario che le aziende, i dirigenti e il personale siano capaci di mettere in atto delle caratteristiche di flessibilità, d’adattabilità, d’opportunismo e di creatività che permettano loro di cavalcare il caos.

La parola caos può sembrare eccessiva, ma è stata scelta di proposito per il suo significato etimologico di aprirsi, spalancarsi.

La parola ricorda l’idea primordiale dello stato che precede la biblica creazione del mondo, e pone l’accento due tendenze su cui tanti osservatori sembrano d’accordo:
a) l’accelerazione del cambiamento e
b) la complessità.

• Anzitutto l’accelerazione del cambiamento. Questo cam-biamento si manifesta tanto all’interno degli Stati, nella società, nella famiglia, nelle organizzazioni, quanto a livello internazionale. Si è parlato a sufficienza della globalizzazione dell’economia, e oggi è un fenomeno irreversibile.
Si è passati da un mondo bipolare ad uno almeno tetrapolare, dove il terzo polo è il Giappone ed il quarto l’Europa unita. S’intravedono, però, degli altri poli d’influenza con cui bisognerà collaborare, la Corea, l’India, la Cina e forse, domani, il Brasile.

• la seconda tendenza riguarda la complessità. Il mondo non è né più semplice né più complicato di quanto non lo fosse un secolo fa.
E’ nuova la presa di coscienza di questa complessità e la necessità di farvi fronte, in una realtà in cui tutto è in relazione con tutto.
Ricercare soluzioni semplici ad ogni problema è oggi un’illusione auspicabile. Comprendere e vivere lo spirito del sistema è una necessità assoluta per la sopravvivenza.


L’azienda può essere considerata oggi come un luogo permanente di risoluzione di problemi pluri-disciplinari (marketing, finanza, tecnologia, umani, sociali...).

Ecco una serie d’atteggiamenti che permettono d’affrontare il caso e di trarne profitto:

• accettare d’uscire dalla propria torre d’avorio;
• essere pronti a adattarsi al cambiamento;
• essere flessibili, avere accesso a più linguaggi;
• sapersi assumere dei rischi;
• dar fiducia alle proprie idee e a quelle degli altri;
• saper tradurre le esperienze negative in opportunità;
• praticare il diritto all’errore;
• accettare il gioco della trasparenza e delle porte aperte;
• praticare il gioco di squadra.

L’ECCELLENZA: UN SUPERAMENTO CONTINUO

L’eccellenza è una qualità che si è trasformata in principio di management. E’ necessaria per superare le barriere delle conoscenze specialistiche e l’apertura delle frontiere, poiché per definizione l’eccellenza è relativa, non si può mai raggiungere. Ciò che può sembrare eccellente oggi, in un dato contesto, lo è assai meno in una situazione vicino ed in un futuro prossimo o lontano.
La sua forza e la sua debolezza non sono altro che la necessità di un continuo migliorarsi “ Oggi meglio di ieri, domani meglio di oggi”.
L’eccellenza imposta dall’alto è vissuta come una critica delle mediocrità ed una volontà di colpevolizzare per ottenere un maggior impegno dei collaboratori. L’eccellenza riscoperta da ciascuno e vissuta a tutti i livelli diventa invece il mezzo per infondere in ciascuno uno spirito d’impresa, per trasformare ogni lavoratore in un imprenditore.
Nuovo è ciò che non conosciamo, che non c’era prima, che è cambiato. Ha espresso bene questo concetto Eraclito
Non ti bagnerai mai due volte nella stessa acqua di un fiume, vi è una sola cosa che non cambia, il cambiamento

perché tutto cambia continuamente, noi stessi, in due momenti diversi, non siamo più la stessa persona. La stessa cosa, in due momenti diversi, non è più identica.


LA NOZIONE DEL NUOVO

Il nuovo è prodotto continuamente da quel che ci circonda e da noi stessi.
In altre parole, nuovo è diventato un tema alla moda dal momento in cui la società e la situazione di concorrenza hanno stimolato tra gli imprenditori l’idea di presentarsi sul mercato con proposte originali e, per merito di una novità, ai bisogni del mercato.
Cosa è nuovo per l’individuo?
È qualcosa di differente. Gordon e Prince, gli inventori della sinettica affermano che il nostro atteggiamento naturale verso le novità è di guardarle come se ci fossero familiari, ricollegandole a cose che già conosciamo. Suggeriscono quindi di guardare le cose che ci sono familiari come se ci fossero del tutto nuove.
Quel che percepiamo come nuovo è quindi ciò che presenta uno o più gradi di differenza in rapporto a qualcosa che conosciamo già. Possiamo reagire alla novità con l’indifferenza, l’accettazione o il rifiuto. Possiamo viverla deliberatamente perché ci piace, subirla perché c’è imposta dall’ambiente, o anche semplicemente perché vi siamo obbligati dalla direzione dell’azienda in cui lavoriamo.

NOVITA' E RESISTENZA AL CAMBIAMENTO

Parliamo ora della nozione di resistenza al cambiamento, che è un ostacolo reale in cui s’imbatte ogni manager o responsabile.
Un altro modo di vivere il cambiamento è di crearlo, d’inventarlo, ed è proprio dell’atteggiamento creativo confrontarsi con l’esistente. Per definizione il creativo è molto attento alle novità. I suoi sensi sono allenati a percepire tutto, quindi a cogliere meglio il cambiamento e la differenza.

Le novità che inventiamo noi, le vogliamo condividere. Questa è la funzione degli innovatori, sia si tratti di generalisti (imprenditori, direttori generali, dirigenti marketing, di-rigenti risorse umane ecc.) per i quali la gestione del cambiamento è uno dei compiti, o di specialisti, per i quali l’innovazione è la principale se non unica missione. In tutti i casi queste persone dovranno stimolare, perché l’innovazione non può essere imposta. Un cambiamento imposto è destinato all’insuccesso, se non immediato, certamente a termine. Infatti, si produrranno in loro dei meccanismi di auto-sabotaggio che fa-ranno sì che la sua applicazione sia deludente.

STIMOLARE PER AIUTARE AL CAMBIAMENTO

Si può stimolare in diversi modi. Ad esempio, far paragoni, anche semplicemente la presentazione di certi risultati di gestione in confronto con ciò che era stato fatto nel passato e ciò che si sperava di fare. Può essere semplicemente un avvenimento disastroso. In ogni caso, l’innovatore dovrà prestare attenzione a che questa stimolazione non sia vissuta negativamente, dovrà fare in modo che gli effetti positivi superino largamente quelli negativi, perché se l’atteggiamento ottenuto è quello del fatalismo o della disperazione, sarà stato un fallimento. Si tratta qui di provocare un sentimento di rivolta contro l’avvenimento ed un desiderio d’affrontarlo, per superarlo.
Un altro modo di stimolare è l’incoraggiamento. L’incoraggiamento deve manifestarsi tanto dalla Direzione generale, quanto in termini d’un aiuto reale e concreto.
Un altro modo ancora è d’invogliare. Una comunicazione ben studiata può esaltare per la sua novità, può risvegliare la curiosità, i desideri e portare le persone ad accettare il cambiamento.

Un atteggiamento creativo unito a tecniche di creatività nel quotidiano sono essenziali per l’innovazione tecnica.
Queste misure saranno stimolo e sostegno di-retto dell’innovazione fra i valori chiave dell’organizzazione.
Si potrebbe obiettare che sono anni che i direttori generali parlano d’innovazione, che è rarissimo trovare una strategia aziendale nella quale non sia presente l’innovazione come una delle chiavi del successo del presente e del futuro.
Queste forme di management sono del tutto insufficienti. Una parola d’ordine diviene un valore quando è provato che le persone che l’hanno lanciata vi credono, cioè quando conformano il loro comportamento alle parole.
In altri termini, l’innovazione diviene un valore-chiave dell’organizzazione quando gli innovatori sono riconosciuti e premiati.

Dal momento in cui non solo si permette loro d’assumersi dei rischi, di commettere degli errori, d’uscire dai sentieri battuti, ma anche li si presenta agli altri come dei modelli e non come dei marginali la cui utilità costringe a sopportarne l’eccentricità. Così l’innovazione diventa essa stessa una delle funzioni normali.

APRIRSI AL MONDO ATTRAVERSO LA CREATIVITA'

Il presidente dì una società ha dichiarato recentemente in un’intervista “ Chi non ha ambizioni europee, non ha affatto ambizioni”.
Questa frase sembra eccessivamente limitativa, poiché l’Europa non è che una parte del mondo, aperta al resto del mondo. La dimensione internazionale fa parte della nostra vita quotidiana e sarebbe difficile trovare una casa in Italia in cui non vi siano prodotti provenienti da tre, quattro o più paesi diversi.
L’irruzione del mondo nella vita quotidiana non è ancora stata pienamente integrata nella vita dell’impresa e tuttavia questa è una necessità, e non solo per quanti si occupano di strategie a medio e lungo termine.

Mettersi all’unisono con le culture dell’universo è un compito reso possibile dalla creatività. In effetti, essere creativo è saper comunicare con l’altro, cominciando dall’altro e continuando col nostro collega, il nostro collaboratore.
Essere creativo è essere capace di sintonizzarsi con gli altri e, per passaggi successivi, con lo straniero. Arrivare a questa flessibilità mentale, in questo modo d’operare non più lineare e sequenziale, ma multiplo e sincrono, è la sfida che dobbiamo vincere e che affronteremo con un piacere crescente dal momento in cui accetteremo d’usare una parte più grande delle risorse del nostro cervello.
Con lo sviluppo dell’acutezza della percezione, con il superamento dei pregiudizi che rinforzano l’etnocentrismo di ciascuna delle vecchie nazioni europee, con il rispetto a priori verso tutto ciò che è nuovo e diverso, nasce un uomo nuovo che, pur riaffermando la sua cultura nazionale o regionale, sa non soltanto accettare e rispettare la cultura degli altri, ma anche trovare in essa una sorgente d’arricchimento infinita.
Inoltre, la capacità di riferirsi alle culture del passato e del presente per creare quelle del futuro è un rimedio praticamente insostituibile per diminuire lo stress dell’uomo moderno.

UN NUOVO STILE DI DIREZIONE

L’introduzione della creatività nelle organizzazioni è strettamente collegata ad un nuovo stile di direzione. I numerosi libri usciti recentemente su questo argomento hanno in comune quello che è definita la piramide rovesciata.
In altre parole, lo schema gerarchico classico che prevede al vertice un uomo accreditato del possesso della conoscenza, che dà ordini, ritrasmessi dagli ingranaggi della gerarchia alla base che deve eseguirli, è superato o in via di rapido superamento anche nelle organizzazioni più tradizionali.
Nelle nuove organizzazioni oggi è attuato il management matriciale, modello direzionale in cui un numero sempre maggiore di persone è collegato a due poli d’influenza, uno gerarchico, l’altro funzionale. Domani si andrà verso un management multipolare.
Oltre al collegamento ai due poli sopra citati, tutti i quadri apparterranno a gruppi-progetto di durata più o meno lunga, gruppi-progetto multi-disciplinari cui sarà affidata una missione da compiere, con delle risorse tecniche, intellettuali e di tempo.

DALL’ADESIONE ALLA PARTECIPAZIONE

I dirigenti non sono preparati a questo stile di comando. Sono coscienti del fatto che il modo classico di dare ordini sia ormai obsoleto, ma non hanno ancora imparato a dare istruzioni in modo che, da un lato, i loro orientamenti siano capiti perfettamente e, dall’altro, incontrino più che un’adesione, una partecipazione da parte delle persone che le ricevono.
Il dirigente, oggi, deve quindi diventare un vero animatore, deve dare l’incitamento e l’orientamento per stimolare l’intelligenza, la creatività e l’energia dei collaboratori perché questi usino le loro risorse e le focalizzino nella direzione corretta.
Tipico questo, dell’opera creativa.

Nelle nuove regole del gioco, il dirigente dà i riferimenti di base ed indica i criteri di riuscita. I collaboratori mettono le sue indicazioni a fronte delle loro intuizioni, usano le proprie risorse, la competenza e l’immaginazione, individualmente ed in gruppo, per proporre e in seguito realizzare idee nuove pertinenti ed efficaci.

DIVENTARE ANIMATORI CREATIVI


La necessità del dirigente, di diventare un animatore creativo, viene incontro ad un’esigenza crescente del personale di non essere ridotto al semplice ruolo d’esecutore.
Questo vuol dire che i collaboratori debbono poter dare, il più sovente possibile, un contributo alla definizione dei compiti e dei processi che vengono loro proposti. Per evitare tanto la frustrazione che la ribellione scoperta o larvata, è importante che il dirigente definisca una regola del gioco e trasmetta ai collaboratori degli stru-menti mentali che permettano loro di praticarla; ciò che si vede già realizzare in alcune organizzazioni di punta.
Allora, come aiutare il dirigente o il responsabile ad interpretare questo ruolo?

LA CREATIVITA’, UN NUOVO DISCORSO SUL METODO

I responsabili dovranno imparare una griglia di lettu-ra del comportamento umano, facendo loro prendere coscienza del fatto che la pura razionalità porta all’irrazionalità.
L’essere umano non è solo l’emisfero sinistro del cervello totalmente dedicato alla raccolta obiettiva dei fatti e alla loro interpretazioni deduttiva, ma anche quello destro della sensibilità, delle emozioni. Inoltre, l’individuo, ogni individuo ha anche dei valori.
Il risultato è lo stesso processo del pensiero, il frutto di un’interazione fra le varie parti dell’Io. Il dirigente e i responsabili hanno interesse a conoscere, per capire, il proprio funzionamento e quello altrui.
Hanno anche bisogno di scoprire la complessità e la ricchezza della comunicazione, di trovare le fonti dell’energia umana ed i mezzi per evitare di bloccarla o dilapidarla, e le tecniche o gli atteggiamenti che possono liberarla e svilupparla.
Occorre inoltre che diventi un modello coerente.
In conclusione, l’idea chiave per un nuovo stile d’anima-zione passa attraverso l’importanza accordata da chi ha responsabilità di dirigere alla instaurazione di condizioni atte a facilitare il ricorso alla creatività per tutti e sempre.
Questo è il prezzo che le organizzazioni degli anni 2000 devono pagare per diventare più innovatrici.
Innanzi tutto, consigliare al dirigente e ai responsabili d’impegnare la propria responsabilità personale, sapendo che un comportamento innovativo non si presenta spontaneamente e che occorrerà che egli incoraggi con parole ed azioni i comportamenti creativi dei subordinati.
Si dovranno riconoscere le differenze individuali e discernere i potenziali di ciascuno per far loro comprendere i compiti e gli obiet-tivi da raggiungere.
Questo farà si che possa promuovere la responsabilità individuale e la maturità di ognuno.
Se le persone hanno l’impressione di non avere o di avere poco controllo sul loro ambiente, sviluppano dei comportamenti passivi, conformisti ed immaturi.
I responsabili dovranno assicurarsi che le idee innovative siano tra-smesse al livello più alto possibile e non dovranno trascurare i feedback., ponendo degli obiettivi ragionevolmente impegnativi, dando dei compiti che stimolino il sentimento di crescita personale e professionale delle persone con cui lavorano. La nozione di realizzazione è molto importante.


I responsabili dovranno anche instaurare un atteggiamento sano di fronte all’insuccesso, e considerare quest’ultimo come un’occasione d’apprendimento.

LAVORO E FORMAZIONE

Il dilemma, oggi, è crescere culturalmente o perire. Questo vale anche per le organizzazioni.
Stiamo uscendo da un mito che ci è già costato molto caro, cioè che la formazione e l’educazione siano qualcosa che riguardi l’infanzia e l’adolescenza e che l’adulto, nel senso proprio del termine, significhi essere arrivati al termine della crescita.
Le grandi scuole ed i diplomi non hanno fatto altro che rinforzare questo mito ed ancor oggi non è raro incontrare dei dirigenti o dei responsabili che ritengono che l’iscriversi ad un seminario di formazione corrisponda a confessare la loro imperfezione.
La nozione di formazione permanente è stata inizialmente sviluppata per gli altri. Il suo sviluppo esponenziale è una cosa buona, e non soltanto per gli istituti di formazione. Ma al tempo stesso, appaiono i limiti: la quantità delle nuove conoscenze da acquisire per combattere ciò che è stato definito l’esplosione dell’ignoranza, la necessità d’apprendere le tecniche di direzione, d’aggiornarle e completarle, fa sì che alcuni futurologi abbiano già previsto la data in cui ogni quadro dell’organizzazione passerà più tempo a formarsi che a produrre. Cosa evidentemente inaccettabile, ma che sarebbe anche inefficace.

La formazione, come è concepita e praticata oggi, si iscrive in uno schema sequenziale di tipo tayloristico: Lavoro o mi formo.
Il seminario si presenta in questo contesto come la parentesi pedagogica in cui ci si ricarica prima di ritornare ai compiti produttivi.
Sicuramente questa parentesi è estremamente utile e resterà indispensabile per ottenere de-terminati effetti di trasformazione rapidi e intensi, al contempo si vede l’opportunità ed anche la necessità di non creare una frattura netta fra il momento in cui si impara e quello in cui si agisce.
Nella realtà, in una normale settimana di lavoro, si hanno numerose occasioni d’apprendere. Ne cogliamo qualcuna e lasciamo sfuggire le altre: donde il concetto nuovo di formazione permanente.

Il semplice mantenimento del nostro organismo in buone condizioni di funzionamento è una conseguenza dell’apprendimento costante. Studi neurofisiologici recenti hanno mostrato che lo stato di equilibrio non esiste. O ci sviluppiamo e cresciamo, o ci restringiamo e ci raggrinziamo, in poche parole invecchiamo.

REINVENTARE IL LAVORO ATTRAVERSO LA CREATIVITA’ E IL PIACERE

Il termine recworking è stato inventato nel corso di un congresso internazionale di sociologia del lavoro, partendo da recreation e da work. I partecipanti sono arrivati all’unanime conclusione che, domani, la parte essenziale del lavoro sarà svolta da macchine e robot; la parte propriamente umana del lavoro non potrà essere assunta se non comporterà un contenuto intrinseco di gioco, di divertimento e di piacere. Non si è ancora trovata una traduzione che restituisca bene l’idea del termine reckworking: lavogodere è un equivalente accettabile ma non interamente soddisfacente. Si può anche immaginare la parola ricrea-lavoro o ancora giocavare.

Si potrebbero distinguere tre epoche nella relazione uomo-lavoro.

• la prima epoca era quella del dovere, lavorare era un obbligo non solo di sopravvivenza, ma anche morale, che conferiva a chi lo compiva rispettabilità e perfino una certa santità;
• la seconda epoca ha visto prevalere il regime del contratto: l’individuo scambiava talento e competenza in cambio di uno status e di una retribuzione. I vecchi valori d’identificazione con l’azienda, gli straordinari e le pratiche da portarsi a casa nei fine settimana, apparivano come cose del tempo andato;
• la terza epoca corrisponde alla crisi economica e all’irresistibile ascesa del Giappone, che hanno determinato una riscoperta dei valori, contrapposta da una fortissima esigenza di realizzarsi attraverso il lavoro.

Non si tratta, in realtà, di un semplice piacere edonistico di consumo, ma di un piacere legittimato dal suo allineamento con i valori dell’organizzazione.

L’UMANESIMO IN AZIENDA

In un mondo che cambia rapidamente facendo saltare punti di riferimento validi, si avverte la necessità di riscoprire quei valori che costituiscono, da sempre, una certezza nella vita di tutti i giorni. La rivalutazione della sfera personale e intima è la cosa più utile da farsi e questo, per quanto riguarda il mondo delle aziende, s’identifica nel cosiddetto Umanesimo aziendale?

Il patrimonio di un’azienda è, ovviamente, anche costituito principalmente da quelle persone che decidono di impegnarsi, di condividere e fare propria la visione aziendale e di mettersi in gioco.
Mansionari, job description e quant’altro portano spesso i dipendenti di un’azienda a sentirsi poco motivati e considerati.

L’Umanesimo aziendale spinge verso la definizione di nuovi sistemi in grado di dare peso e valore non soltanto al lato economico, ma anche ad altre variabili quali l’ambiente di lavoro, il clima aziendale, lo sviluppo del personale e la qualità della vita.
I collaboratori in azienda hanno bisogno di sentirsi realizzati, di sfide e riconoscimenti del loro contributo. Non si è più alla ricerca di paghe oneste per oneste giornate di lavoro, ma si ambisce piuttosto a opportunità che consentano di trascorrere giornate di lavoro eccezionali.

Dr. EMANUELE TINTO

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